Singapore: mosaico di culture e vecchie canzoni

..Fiume Giallo, giù nel Fiume Giallo via di qui, lasciatemi stare
Singapore, vado a Singapore benedette care signore da domani chiudo e m’imbarco con il primo vapore..

E’ più forte di me: ogni volta che pronuncio la parola SINGAPORE non riesco a non canticchiare questa canzone , un motivetto che ho sentito intonare da mia madre un sacco di volte, anni e anni fa, di cui conoscevo solo un paio di parole e che in realtà non avevo mai ascoltato prima di oggi, rimanendo col vago sospetto che fosse solo una canzoncina nata dalla sua fantasia.

E solo stamattina scopro, invece, che fu scritta nel 1972 da Roberto Vecchioni e Renato Pareti e in pochissimo tempo divenne una hit suonata dalle radio di mezzo mondo.

La canzone parla di un uomo che, consumato dalla passione per le innumerevoli donne che lo circondano, decide di salutarle tutte e fuggire a Singapore. Il motivo che ha spinto noi a visitarla è stato ben diverso, rappresentando la prima tappa del nostro viaggio di nozze, una meta che ci ha sempre incuriositi e avremmo voluto inserire, un paio d’anni fa, sulla rotta per Bali, ma allora non fu possibile per motivi di budget e la sostituimmo con uno stop-over a Bangkok.

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Modernità, ordine, pulizia, cosmopolitismo, ricchezza sono le 5 cose che balzano subito all’occhio del visitatore: un biglietto da visita stampato su carta pregiata che la città porge già ai primi passi lungo i viali silenziosi di Marina Bay, tra infiniti grattacieli che sfidano nel lusso e nel futurismo quelli della Grande Mela, dove l’unico rumore è il tacchettio delle suole di legno dei businessmen, che si muovono nei loro abiti scuri a spasso spedito sui pavimenti di granito, per poi sparire nel vortice di enormi porte girevoli.

63 isole, per una superficie di appena 641 kmq, accolgono oltre 5 milioni di persone, rendendo questa città-stato il secondo paese con la più alta densità al mondo, nonché quello con la più elevata concentrazione di milionari.

Cinesi, malesi, filippini si mescolano ad indiani, arabi ed europei sin dalle origini di Singapura, cancellando il confine immaginario tra chi la abita da sempre e chi è solo di passaggio: allontanandosi appena un po’ dal centro finanziario, ci si rende conto che Singapore non è solo uno stato in una città, ma è anche tante città in una, ognuna con caratteristiche peculiari molti forti a simbolo della cultura che rappresenta, legate l’una l’altra in un quadro d’insieme impeccabilmente armonico.

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Moschee, templi taoisti, buddisti, induisti e chiese metodiste, cattoliche e anglicane si fanno largo tra i grattacieli ritagliandosi il loro angolo di pace; lunghi viali alberati si diramano dalle strade principali regalandosi una pausa dal caos del traffico cittadino; i baracchini dello street food servono cibo a pochi dollari su spartani tavoli di plastica, a tutte le ore del giorno e della notte, facendo propria una vista indimenticabile sulla baia e su uno degli hotel più cari al mondo.

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A qualche chilometro dal mare, le bandiere rosse e bianche dei palazzi pubblici vengono sostituite dai panni appesi su stendini multipiano, che si affacciano prepotenti da piccoli balconi su palazzoni dalle facciate sbadite, e le geometrie dei palazzi di vetro e delle boutique d’alta moda di Orchad Road lasciano spazio ai negozi di chincagliere, di stoffe e di videocassette di Bollywood lungo la Serangooon Road.

Siamo all’improvviso a Little India: la vista e l’olfatto si riempiono di spezie colorate e di incenso, che si alternano a verdure ed ortaggi, su banchetti di legno tenuti in piedi dalla fortuna, mentre l’udito dimentica qualsiasi altro rumore e viene catturato dalle preghiere diffuse dagli altoparlanti del tempio di Veeramakaliamman.

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Singapore appare come un mosaico di culture, religioni e atmosfere che convivono in un equilibrio, non solo architettonico, troppo perfetto per sembrare vero: un equilibrio che infonde un senso di sicurezza e di accoglienza; un equilibrio raggiunto dopo anni di colonialismo, guerre, invasioni, dichiarazioni di indipendenza e scontri di piazza; un equilibrio che, specie negli ultimi anni, rischia ogni tanto di vacillare.

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Perfezione e ordine, certo. Ma qual è l’altra faccia della medaglia?

Una lista infinita di divieti – alcuni più o meno condivisibili – dalle pene, pecuniarie e corporali, fin troppo severe però: come il commercio di qualsiasi tipo di droga – anche se tale reato è punito con pena capitale – diffondere e possedere materiale pornografico, imbrattare muri con graffiti e buttare qualsiasi tipo di rifiuto per terra; ed altri paradossali e assurdi:

– non tirare l’acqua in una toilette pubblica

– fumare dove non consentito e gettare la cenere a terra

– possedere e masticare chewngum

– dare da mangiare agli uccelli

– attraversare la strada fuori dalle strisce pedonali

– mangiare nei mezzi pubblici, stazioni ferroviarie e metropolitane

– omossessualità maschile

– urinare negli ascensori

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Francesca

Francesca

Amante del caffè in tutte le sue forme, l'importante è che sia rigorosamente senza zucchero. Expat seriale. Innamorata del mondo in ogni sua sfumatura e latitudine, ha perso il cuore in Africa, ma finisce col cercarlo sempre in altri posti. Ne parla poco, ma ha un debole per Londra e il Medioriente.

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12 thoughts on “Singapore: mosaico di culture e vecchie canzoni

    1. Ciao Ilaria!
      Noi ci siamo fermati per due notti, quindi abbiamo avuto a disposizione due giorni pieni per girarla: abbiamo visto parecchio, ma secondo me, per fare le cose con calma, ce ne vogliono tre, o quattro se si vuole uscire anche un po’ fuori città.

          1. Eh! sai che sono davvero indecisissima? Arriviamo a Giakarta e vorremmo starci massimo due giorni. Poi in treno fino a Yogyakarta: quindi anche Borobudur e Prambanan. Poi il resto rimane un mistero. Bali e Lombok a parte, che sono un must. Abbiamo 24 giorni circa (sì, ci prendiamo il lusso di fare tutto con comodo questa volta! 🙂 ) e pensavo o di fare una puntatina con un low cost fino a Singapore o di allungarci fino a Flores e Komodo, visto che in fin dei conti siamo già attaccati.
            Se hai consigli, sono super ben accetti! 😉

          2. Splendido! Flores e Komodo mi sono rimaste “qua” (immagina dito indice sulla gola): il nostro viaggio a Bali era di sole due settimane, quindi facemmo Bali, Gili T. e stop over di un weekend a Bangkok. Eh, scelta durissima.. ma la voglia di vedere i draghi ce l’ho ancora..


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