E’ stato per noi l’ultimo tratto di costa del sud prima di volare verso il deserto. Due giorni di viaggio per scoprire ed attraversare l’Australia dallo Stato del Victoria a quello del South Australia; da Port Fairy fino a Victor Harbor, passando per Robe e il Coorong National Park.
Scorro le foto e si riaccendono i ricordi, e con essi, la nostalgia. Di tutti quei chilometri fatti, nella memoria rimane un fotogramma senza fine che scorre oltre il vetro del mio finestrino: il verde dei pascoli senza confini e un cielo turchese che nemmeno a dipingerlo sarebbe stato così intenso.
Tornano a galla anche i ricordi di momenti speciali. Di incontri attesi, disattesi ed altri inaspettati. Di una sensazione di equilibrio talmente forte da darmi la consapevolezza che, in quel momento, ero solo uno spettatore e che la Natura, in quel suo equilibrio perfetto, potrebbe fare a meno di noi.
Scorro le foto e sorrido al ricordo della prima volta in cui ho visto un Emù. Camminava dondolante a bordo strada nel tentativo di attraversare per raggiungere il suo compagno. Ci fermammo per lasciarlo passare, ma niente: aveva troppa paura e ci restituì la cortesia.
Ricordo nuvole rosa di decine di Galah che planavano e poi invadevano la strada, mentre ci eravamo fermati a fotografare un vitello. Anzi no, volevamo fotografare loro, ma nel frattempo arrivò un’altra macchina e volarono via. Riuscii a scattare solo una foto. Ma anche il vitello ne meritava una. No?
Nelle stesso fotogramma apparivano di tanto in tanto case di legno dalle tinte pastello che svettavano in cima ad una collina, con le finestre talmente grandi sui lati opposti che riuscivo a guardare attraverso e vedere il mare dall’altra parte. Un mare forte quello del sud dell’Australia, sempre agitato e tormentato dal vento.
Ricordo le risate nel vedere la linea verde del navigatore che ci guidava lungo una stradina in discesa e andava a finire in una grande chiazza blu. Io e Mister ci guardammo perplessi ma confortati dalla presenza di altri veicoli davanti a noi e, pochi metri più in là, capimmo che l’unico modo per attraversa il fiume Murray era salire su una chiatta ed essere trasportati con tutta la macchina fino all’altra sponda.
Avevamo guidato per diversi chilometri in strade sterrate lungo laghi dalle acque simili al cemento liquido, che diventavano un tutt’uno con la coltre di nuvole sopra di loro, e paludi salmastre divise dal mare da altissime dune di sabbia d’orata. Ci eravamo lasciati alle spalle il nostro primo incontro con un wombat, inerme su quella strada sterrata dove un’auto l’aveva strappato alla vita, mentre tanta altra vita ferveva tutt’attorno, nascosta tra la sterpaglia e leggera come il battito d’ali di uno stormo di uccelli che si alza in volo.
Dopo l’attraversamento del Murray, tutto questo aveva lasciato il posto alla distesa sconfinata dei filari d’uva della Fleurieu Peninsula.
Victor Harbor è stata l’ultima tappa prima di imbarcarci per Kangaroo Island, e il mio ricordo di quel giorno è legato soprattutto a Granite Island, un isolotto al di là del Causeway, il pontile di legno lungo 630 metri che lo collega alla terraferma.
Granite Island un tempo era collegata naturalmente al continente: ha resistito alla forza erosiva del mare e delle piogge che hanno progressivamente spazzato via gli strati di terra sovrastante e circostante, riportando alla luce le enormi rocce granitiche formatesi circa 480 milioni di anni fa; secondo la leggenda aborigena, invece, l’isola è stata creata dall’eroe celeste Ngurunderi, scagliando una lancia in mezzo al mare.
Tra i massi di quest’isola c’è stata l’ennesima delusione per l’incontro disatteso con le balene, che per tutto il nostro viaggio in Australia si negheranno ai nostri occhi. C’è stata la sorpresa nello scorgere due occhioni neri che ci guardavano dal basso nell’attesa che mamma-otaria tornasse con qualcosa di buono da mangiare e la nostra di attesa al tramonto per vedere i pinguini, in silenzio e in disparte per non sbarrargli la strada e confonderli.
Ricordo che si fece del tutto buio ed iniziò a fare freddo, era un’ora che aspettavamo, ma non potevamo andare via. Eravamo quasi certi che sarebbero arrivati: il pescatore ce l’aveva garantito. Ed infatti, dopo qualche minuto ancora, ecco il primo risalire dal mare, muoversi tra gli scogli così alti che sembrava impossibile riuscisse a superali, ed invece su, con un balzo deciso, sulla strada e poi via veloce per sparire tra gli arbusti. E subito dopo ne arrivò un altro. E un altro ancora.
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