Potrebbe essere trasportato in qualsiasi paese civile: le sue sorgenti, valli, gole, felci, zamia e fiori affascinerebbero gli occhi e i cuori degli uomini appesantiti dalle fatiche, che sono condannati a vivere e morire nelle città affollate.
Ernest Giles
Io quel giorno ho pensato seriamente di rimarci nel deserto australiano.
Non sono una persona sportiva e se questo post capitasse sotto gli occhi di qualche mio amico, sicuramente annuirebbe senza esitazione e, probabilmente, lo sottolineerebbe aggiungendo “per niente”.
Ma voi datemi da camminare – in città, in montagna, al mare – e potete star sicuri che sarà difficile starmi dietro.
Ed è per questo che quando la nostra guida – con un gusto particolare nel raccontare storie tragiche su turisti sprovveduti ed avventati, condite da particolari inquietanti – mi ha chiesto quale dei due percorsi volevo fare l’indomani mattina, dando per scontato che avrei scelto quello da lei capitanato (il Kings Creek Walk, un sentiero di 2.6 km, poco impegnativo che percorre il letto del canyon) ho risposto senza esitazione che avrei fatto, invece, il Rim Walk, una camminata di 6 km che arriva fino in cima.
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Dopo aver constatato che nel frigo della camera del nostro hotel non c’era nulla da bere, siamo usciti poco prima dell’alba, con qualche minuto di anticipo rispetto all’appuntamento, prendendo le due bottigliette da 1/4 di litro – di un’acqua talmente frizzante da essere imbevibile – che viaggiavano con noi ormai da due giorni, e una borraccia vuota da 1 litro, con l’idea di riempirla al distributore della reception.
Al nostro arrivo però troviamo tutto chiuso, mentre la guida era già lì con l’indice puntato sull’orologio a sottolineare che – secondo lei – siamo già in ritardo.
Arrivati al piazzale del Kings Canyon, prima di essere consegnati nelle mani del ranger che ci avrebbe guidati nell’escursione, la guida ci ripete tutte le raccomandazioni del caso, concludendo con: “avete almeno due litri d’acqua a testa, giusto?”
Le mostro il mio bottino cercando di spiegarle che nella nostra camera non c’erano le due bottiglie di acqua che avremmo dovuto trovare, ma lei sta già scuotendo la testa senza ascoltarmi e dice: “That’s like nothing. You are not gonna make it!”
Mossa da un minimo di compassione, apre il portellone del bus e ci mostra una tanica d’acqua con la quale abbiamo riempito la nostra misera borraccia. Bene, avevamo quantomeno 1 litro e mezzo da dividere per due!
La difficoltà del Rim Walk si presenta immediatamente, con il primo tratto: 500 ripidi scalini scavati nella roccia che salgono lungo il profilo del Kings Canyon (quello che vedete, vicino l’ombra, con una specie di gobba, nella parte sinistra della foto di sopra).
Il mio cuore, nemmeno a metà salita, mi è già arrivato in gola battendo all’impazzata.
L’aria inizia a mancarmi, non riesco a controllare il ritmo della respirazione, i muscoli delle gambe mi bruciano, sudo freddo, quasi mi gira la testa e riesco solo a pensare che non ho fatto nemmeno colazione e, quindi, tra pochi minuti il mio corpo darà forfait.
Finalmente riesco a raggiungere gli altri, fermi a riprendere fiato, ma appena mi unisco a loro, riprendono la marcia. Forse è meglio così, meglio non fermarsi, penso, altrimenti torno indietro.
Non per nulla questo tratto del Rim Walk si chiama “Heartbreak Hill” (o “Heart Attack Hill”) ma questo lo scoprirò dopo.
Alla fine, invece, il mio cuore e le mie gambe ce l’hanno fatta: non mi rendo conto del tempo che è passato, di quanto ci ho messo per salire fino in cima, so solo che sono finalmente sulla sommità del canyon e la fatica fatta mi sta regalando una vista spettacolare della gola sottostante e della vallata del Watarrka National Park.
Il resto del percorso è alquanto facile: dopo all’incirca mezz’ora di cammino sulla cresta si giunge al primo lookout. Non ci sono protezioni, il vento è molto forte, quindi la cosa migliore da fare è stendersi per terra per riuscire a vedere il letto del canyon in sicurezza.
Continuiamo a camminare fino a giungere al South Wall Lookout, dal quale si apre la vista sulla parete rocciosa dove eravamo prima, di un colore rosso intenso e così levigata da sembrare esser stata lavorata dalla mano sapiente di un artigiano.
Ma la vera meraviglia del Kings Canyon si trova un po’ più avanti e ci si arriva attraverso una scalinata di legno che discende lungo la gola.
All’improvviso penso di essere preda ad un miraggio, di essere lontana chilometri: siamo in quello che è stato chiamato Giardino dell’Eden, dove una cascata si riversa in una pozza d’acqua permanente, circondata da una ricca vegetazione che da riparo dall’afa alla fauna del luogo.
Mi pare totalmente assurdo che ci sia vita in un posto del genere eppure è davanti ai miei occhi.
Ci fermiamo per un po’ qui, a bordo di questa piscina naturale, all’ombra, per recuperare le energie e rinfrescarci: il sole è ormai alto e la nostra acqua è quasi finita.
Quando riprendiamo il cammino ci ritroviamo poco dopo ad attraversare la lost city, una distesa spettacolare di cupole di arenaria stratificata. E’ facile intuire perché le sia stato dato questo nome: sembra un villaggio di chissà quali strani creature, ormai disabitato.
La fine dell’escursione è vicina: una breve scalinata ci guiderà giù, fino al parcheggio.
Posso bere anche l’ultimo sorso d’acqua: sono felice, felice di aver scelto il Rim Walk, nonostante la fatica estrema dell’inizio e il pensiero di tornare indietro, perché altrimenti avrei visto ben poco dei tesori costuditi all’interno di questo scrigno di pietra; felice di poter dire alla guida che, invece, ce l’avevo fatta.
Mamma mia…che spettacolo!
Questi paesaggi mi fanno davvero impazzire. Stupendo!
Questo canyon ha davvero dell’incredibile: tre scenari diversi in un luogo unico. La fatica è stata ripagata 🙂