“Non dobbiamo aver paura che della paura.”
Giulio Cesare
Questa è la storia di una ragazza che aveva paura del vuoto. Non paura di volare – non ha mai avuto paura di volare in aereo, anzi, ne continua ad essere entusiasta – ma paura di aver paura, di non riuscire a controllare l’ansia di sentirsi mancare la terra sotto i piedi, l’ansia del vuoto tutt’attorno, la stessa ansia già sperimentata in un misero tentativo di completare un percorso di parkour appesa ad un cavo d’acciaio.
La ragazza in questione sono io – chiaro – e questa è la storia di un’escursione in elicottero prenotata senza pensarci su troppo. I
motivi per farlo erano tre e tutti validi: mezzo più veloce per andare dove volevamo andare, Mister che se non c’è rischio non gli piace, io che non riesco a rinunciare a niente anche se poi mi maledico.
Motivi per non farlo: nessuno.
Mi vergogno un po’ a dirlo, ma il giorno prima ho cercato conforto nelle statistiche, nei numeri, che mi confermassero la sicurezza di quegli oggetti volanti che si vedono continuamente passeggiare nel cielo di Las Vegas, e tra i ricordi di persone che conosco che avessero fatto già la stessa esperienza: nessuno, a parte un mio amico che aveva avuto uno passaggio da un elicottero militare americano per spostarsi da un villaggio ad un altro, ma lui è un giornalista di guerra, afghano – quindi con 10 dosi di coraggio in più già per nascita – e quelli militari mi sembravano decisamente più grandi, almeno in televisione. Pertanto il confronto non reggeva, affatto.
Alle 9 del mattino sono già all’eliporto di Las Vegas, pesata, istruita sulle norme di sicurezza e con la faccia appiccicata al vetro a darmi ragione sul fatto che gli elicotteri militari sono decisamente più grandi di quello su cui salirò, il quale più che un elicottero sembra una mosca colorata.
C’è entusiasmo nell’aria, dall’hostess che ha registrato il nostro arrivo, ai passeggeri (possibile che sono l’unica che se la sta facendo nelle mutande?!), compresi i piloti (così tirati a lucido che ti aspetti lo scintillio sui denti quando sorridono) e Mister, che ha pagato pure 50 dollari di supplemento per avere i posti davanti, almeno avremo il vetro fino a sotto i piedi (posso dire che ogni tanto lo odio?).
Breve briefing con il nostro pilota – al quale va la palma d’oro per fascino e bellezza (nonostante la strizza, ho apprezzato parecchio e l’ho considerato un assett per salire a bordo) – e scopriamo che non gli è arrivata l’informazione del nostro supplemento – i posti vengono decisi in base al peso delle persone – quindi ci fa accomodare dietro (allora esiste un dio!).
Cintura, cuffie e dopo tre secondi che siamo sospesi per aria col muso dell’elicottero all’ingiù sono già a stringermi la mano con la signora australiana seduta accanto – la quale, nel frattempo, è diventata più paonazza di me – e sto pensando che sarebbe il caso di scendere perché il mio cuore potrebbe non farcela.
Dopo una manciata di minuti siamo in pieno deserto e mentre la voce rassicurante del pilota nelle cuffie ci ringrazia per la nostra presenza, io cerco di fare training autogeno. Ogni tanto a fatica butto l’occhio al di la del vetro, fino a quando non mi ritrovo seduta – a decine di metri di altezza – su quella che viene considerata la più grande opera di ingegneria americana della prima metà del Novecento: la Hoover Dam.
Finalmente riesco a spalancare gl’occhi: il Colorado, una vena verde tra le rocce, con le sue acque che scorrono placide sotto di noi, è il mito che prende forma davanti a me.
Finalmente siamo nel mezzo del Grand Canyon, siamo un piccolo insetto scosso dal vento che vola tra le più imponenti opere d’arte della Natura, un caleidoscopio di forme e sfumature frutto di millenni di erosioni, terra dei Nativi d’America.
Facciamo una prima tappa atterrando in pochi minuti a qualche metro dalla sponda del fiume: poco più giù c’è una barca che ci aspetta per portarci a fare un giro sul Colorado.
Mentre un simpatico Indiano ci accoglie a braccia al cielo dandoci il benvenuto nel suo ufficio, vedo il nostro elicottero volare via: l’emozione è forte, barcollo un po’ frastornata; la felicità di trovarmi nella terra degli Hualapai, in questo luogo magico, è troppo grande, irreale.
Quando torniamo dal giro in barca, a me e Mister ci viene detto di salire su un altro elicottero – il resto del gruppo ci avrebbe raggiunto dopo qualche minuto – e vengo accompagnata fino al sedile accanto al pilota. Sbraccio come un’ossessa ripetendo più volte “Let him sit here, he wants to sit in the froooont!”, ma non mi stanno a sentire – eh si, la storia del peso – e mi hanno chiuso già il portellone in faccia.
Non so se il pilota abbia capito che sono leggermente impanicata, ma mi sembra divertirsi un mondo a fare il pelo alle rocce e a virare allegramente, mentre maneggia la cloche con la stessa serenità con cui io uso – incapace – il joypad comodamente seduta sul mio divano.
In questo video il mio goffo tentativo di riprendere ad occhi chiusi:
Seconda tappa: dopo un breve tragitto il pullman, raggiungiamo l’Eagle’s Point Skywalk, la famosa passerella di vetro a forma di ferro di cavallo che offre una vista mozzafiato sul Colorado e il Canyon circostante da un’altezza di 1.200 metri.
Non c’è più ansia, nessuna vertigine, nessuna paura del vuoto – o quasi – che tenga: c’è solo la magia dei colori della roccia, uno spettacolo senza fine, il cielo terso con le nuvole basse che ricorda un po’ quello africano ed io mi sento come dentro ad un film.
Rientriamo alla base con il nostro primo pilota (quello figo): nel frattempo gli è arrivata la conferma del nostro supplemento per la prima fila.
A questo giro sono pronta: a parte il caldo a tratti insopportabile – si vola praticamente in una bolla di vetro sotto al sole battente ed io ero coperta da vari strati di stoffa a causa di un brutto raffreddore che qualche giorno prima mi aveva messa k.o. – sono riuscita a tranquillizzarmi e a godermi ogni metro di quel volo nel deserto dall’Arizona al Nevada.
Inutile dire che l’entusiasmo e l’adrenalina mi hanno fatto camminare ad un metro da terra per le successive 12 ore.
Il giorno dopo un Boeing mi porterà fino a casa: finalmente potrò rilassarmi del tutto e dormire.
In questo video i momenti più belli (la colonna sonora era una scelta obbligata..):
Wow! Magnifica esperienza…il mio sogno!!!
Io sono contentissima di averlo fatto, anche se la mia paura del vuoto mi ha fatto un po’ soffrire all’inizio..
Wow! Magnifica esperienza…il mio sogno!!!
Wow che esperienza!! Francamente non mi è mai capitato ma immagino la strizza…comunque ne vale senz’altro la pena, soprattutto per vedere un paesaggio così!
All’inizio volevo scappare, non ho paura di volare (in aereo) ma soffro di vertigini.. É stata un’esperienza grandiosa invece: davanti al Grand Canyon mi sentivo come dentro sa un film..
Ahhh che spettacolo! Vorrei tanto fare un giro in elicottero, mi manca all’appello 😀
A me manca la mongolfiera: ma non escludo che a breve arrivi anche quella.. 😉
Ormai sono vaccinata: potrei fare il bis con te a New York! 🙂
Ti immagini volare nello skyline di Manhattan???
Certo che lo immagino! E penso anche che la realtà potrebbe superare la fantasia!
Però ci terrei a fare un giro anche attorno alla Statua della Libertà.. 😉
…lanciando carte (biodegradabili) di caramelle in testa ai turisti… hihihihi che soddisfazione…
Ovvio, dopo aver mangiato chili di caramelle!
😀
È il mio sogno… però io vorrei volare in elicottero sopra NYC!!!
Tutto quello che hai ripreso è di una bellezza indicibile !!! E Tu sei strepitosa…..non solo coraggiosa !!! Il tuo lavoro è propedeutico a fare il giro intorno al mondo !!! Wow
Maria, sei troppo troppo carina con me!
Dirmi che il mio blog aiuta a fare il giro del mondo è il complimento piu bello che mi potessi fare: è proprio questo il senso dei miei racconti! Grazie! 🙂