Credo ci siano pochi luoghi al mondo estremamente fotogenici come l’Islanda.
Quest’isola è un concentrato di scenari drammatici, accostamenti di colori pazzeschi, dettagli che colpiscono anche l’obiettivo più distratto.
E nelle giornate di sole la bellezza raggiunge livelli disarmanti: la luce esalta i colori rendendoli saturi e i contrasti più forti, in un gioco di accostamenti cromatici a volte inverosimili.
L’Islanda però mi ha insegnato una cosa: a guardare la scena con occhi diversi ed apprezzarla anche quando tutto ciò descritto finora viene a mancare; ovvero quando l’assenza del sole, evento frequente nella terra degli Elfi, provoca l’appiattimento dei colori, riduce le profondità e sfoca i contorni.
Scenari inquietanti in cui fattorie abbandonate e relitti trattenuti dalla sabbia, testimoni di un passato sfortunato e logorati dal lavoro inclemente del vento e dalla salsedine, hanno trovato tra la nebbia e il grigiore l’ambientazione perfetta, divenendo parte dei miei soggetti preferiti.
Non più rabbia e desolazione per l’ennesima giornata uggiosa, ma una nuova occasione per sperimentare prospettive nuove.
Non più inquietudine, ma un’atmosfera misteriosa e nostalgica che racconta storie dal sapore antico e tormentato.
Era il 24 novembre del 1973 il giorno in cui il Douglas Super DC-3, un aereo della Marina Americana, fu costretto ad un atterraggio di emergenza sulla costa meridionale dell’Islanda. Ad oggi le cause dell’incidente rimangono ancora avvolte nel mistero: c’è chi sostiene che il problema fu il maltempo, chi un errore umano.
Fortunatamente tutti i membri dell’equipaggio rimasero illesi, ma la fusoliera dell’aeroplano fu abbandonata e da allora giace sulla sabbia nera di Sólheimasandur, smembrata e corrosa, ad ascoltare il rumore di un mare eternamente tormentato.
Era invece il 1912 quando la baleniera Garðar solcò per la prima volta le acque gelide del Mare di Norvegia.
Inizialmente fu battezzata con il nome di Globe IV ed era dotata di due vele e un motore a vapore per resistere alle dure condizioni del mare in cui veniva utilizzata. Alla fine della seconda guerra mondiale, la nave fu venduta ad un armatore islandese e il suo nome fu cambiato diverse volte, dapprima in Siglunes SI 89 ed infine in Garðar.
Nel dicembre del 1981, fu deciso che Garðar dovesse essere dismessa. Invece di affondarla in mare come era consuetudine fare in quegl’anni, venne abbandonata su una spiaggia nella valle Skápadalur, nel fiordo di Patreksfjörður.
Oggi Garðar affronta coraggiosamente l’inevitabile destino di ruggine ed erosione che l’aspetta, fornendo al turista una scena spettacolare per scattare una foto ricordo.
La F953, la strada che segue il profilo del fiordo orientale Mjóifjörður, è sicuramente quella che mi ha fatto tremare di più in assoluto.
I tornanti stretti, la discesa verso un ignoto nascosto da una fitta coltre di nebbia, la strada sterrata scavata lungo il fianco della montagna, la pioggia, l’assenza di protezioni e il mare in burrasca a distanza di un salto di qualche decina di metri.
Ma anche una serie infinita di cascate che scorrono lungo le pareti delle colline, quelle colline che sembrano una grande scalinata che degrada verso il mare e poi la vista che si apre sulla gola del fiordo, il relitto di un peschereccio, Brekkuþorp – un villaggio di 35 persone che d’inverno è raggiungibile solo via mare – fino a Dalatangi, il faro più antico d’Islanda, dove la F953 trova la sua fine.
E’ lungo la strada che porta a Stykkishólmur, invece, che si avvista il þorgeir GK, un peschereccio immerso nella barena, a destra della carreggiata, accasciato su un fianco da una ventina d’anni.
Il sentiero che conduce al punto più vicino al relitto, tra un salto e l’altro per schivare gli acquitrini, è quasi invisibile e spesso si finisce con un piede in una pozza d’acqua coperta dall’erba alta.
Da quel punto la strada sembra lontanissima. Il silenzio, il volo di un uccello, l’immancabile trio di pecore che ci guarda disinteressato.
Tutt’attorno una fitta costellazione di ciuffetti bianchi di cotone artico, che con le loro chiome un po’ arruffate seguono l’andamento del vento.
Si piegano leggermente in tutta la loro fragilità, ma tengono stretto il proprio fiore e resistono.
L’Islanda mi ha offerto mille occasioni per scattare foto meravigliose in mille momenti diversi.
Esserci riuscita è un altro discorso.
Appena tornata dall’Islanda! Che bella che è! E tu ci sei riuscita benissimo a descriverla sia in immagino che a parole!
Ma grazie, non è mai facile descrivere dei posti così particolari senza rischiare di cadere nel banale 😉 quest’anno ci sarebbe piaciuto tornarci ma non è stato possibile, al momento per ora.. Sono felice per te che ci sei appena stata: è un viaggio che rimane nella testa per tanto tanto tempo!
W-O-W Un post da pelle d’oca! Ormai lo sanno anche i muri, ma io continuo a ripeterlo: ad agosto andrò in Islanda!! Di tutte le cose che ho letto e visto fin’ora, sei stata la prima ad esaltare così bene la sua anima “desolata”.
Questo entusiasmo per il tuo prossimo viaggio in Islanda è semplicemente contagioso! Ti seguirò di sicuro, con un pizzico di invidia anche.. perché spero di andarci anch’io – di nuovo – al più presto!
che fascino questa islanda! ogni post me ne innamoro di più
Sono felicissima di leggere questo commento: post dopo post, la paura per le strade sta passando in secondo piano!
Il fascino delle cose abbandonate….Poi l’Islanda è nei miei sogni da tanto tempo…Prima o poi ci incontreremo… Riguardo l’articolo, trovo ci sia sempre molto gusto in quello che fai, dalla scelta delle foto, alle parole che usi per descrivere un luogo, una sensazione… Lo so, sono banale, ma…BRAVA!
Noi sei banale per niente invece: apprezzo molto quello mi hai scritto, è bello leggere la conferma di ciò che provo a trasmettere 🙂 L’Islanda continua ad essere un chiodo fisso anche per me che ci sono stata: realizza questo sogno il prima possibile, mettila ai primi posti dei tuoi prossimi viaggi.. non ti deluderà!
Belle foto. Ottima la scelta del B/N anche se su alcune non mi sarebbe dispiaciuto vedere anche al versione color…
Ciao ciao
Max
Grazie Max! Non escludo di utilizzare la versione color per altri post sull’Islanda: come dicevo a Roberta, nonostante il B/W renda meglio l’idea, mi è dispiaciuto un po’ modificarle.
Meraviglioso ed inquietante, allo stesso tempo. Le foto in bianco e nero rendono perfettamente le sensazione di isolamento che descrivi così bene, affascinante il relitto della nave, ma mi piace molto l’ultima foto dei fiorellini spettinati dal vento che corre forte sulla piana…
Faccio sempre un po’ fatica a togliere i colori ma in questo caso ho pensato che il bianco e nero fosse la scelta migliore 🙂
La mia preferita è quella della casetta – la terza – che tra l’altro avevo dimenticato d’inserire, anche se ognuno di questi luoghi mi ha lasciato una sensazione particolare, tra cui quel campo di fiori: resistenza e libertà.