Quando perdi completamente il senso del tempo e non sei in grado di indicare sul calendario quale giorno sia oggi; quando riparti con le lacrime agli occhi dopo solo un paio di giorni e ti senti come se stessi lasciando alle spalle gli amici di una vita; ma soprattutto quando vedi correre sul lato della pista un facocero spaventato dal tuo aereo in atterraggio, ecco in quel momento realizzi di trovarti nel posto giusto.
Finalmente riesci ad interrompere momentaneamente il bombardamento delle domande che Johannesburg ti ha messo nella testa, le stesse che poi torneranno una volta approdati a Cape Town, ma per ora hai voglia di mettere da parte il mondo degli uomini e guardare solo a quello animale, che per quanto possa sembrare crudele a volte, sarà sempre più giusto del primo.
Il Simbambili Game Lodge si trova all’interno del Sabi Sands, una riserva privata confinante con il Kruger, il più grande parco nazionale del Sudafrica. Sessantacinquemila di ettari pullulanti di vita nelle forme più svariate, un luogo dal quale si esce cambiati profondamente, come dovrebbe succedere al rientro da certi viaggi, come succede ogni volta che ci si spinge nel cuore dell’Africa.
Non ci sono recinti a dividere il Sabi Sands dal Kruger NP e gli animali, quindi, possono spostarsi liberamente tra le due aree.
Abbiamo solo 2 giorni da dedicare al safari e il Sabi Sands è una riserva particolarmente apprezzata per la facilità con cui si avvistano tutti i Big 5 – non è difficile incontrarli tutti già al primo game drive – ma è particolarmente famosa sopratutto perché vanta la più alta concentrazione di leopardi. Non è un evento eccezionale infatti avere come vicini di jeep un paio di operatori di NatGeo, i quali hanno fatto di questa riserva la base fissa per i loro reportage sui felini africani.
Sulla nostra jeep invece alla guida c’è Jared, il quale ha sempre sognato di fare il ranger e ci spiegherà ogni minimo dettaglio di quello che succede nella savana, i comportamenti dei suoi protagonisti e come i lodge e il turismo abbiano avuto una influenza positiva sulle comunità locali grazie a diversi progetti di scolarizzazione e sviluppo che le coinvolgono direttamente – per esempio, tutti i prodotti ortofrutticoli che vengono serviti a pranzo e a cena arrivano dal community garden project gestito da alcune donne del villaggio appena fuori la riserva.
Accanto a Jared, c’è Willie, che la savana ce l’ha semplicemente nei geni perché è qui che è nato e cresciuto.
Willie è un uomo del bush e sarà i nostri occhi e le nostre orecchie.
Egli capisce che tipo di animale è passato, da quanto tempo e dove era diretto guardando semplicemente delle tracce sulla sabbia, quelle tracce che i nostri occhi non riuscirebbero a scorgere nemmeno con la massima concentrazione. Percepisce la presenza di un leone dal comportamento teso di un gruppo di impala; sa che notando le fratture di un albero si scopre se degli elefanti sono passati di la e che bisogna guardare anche il cielo di tanto in tanto perché se gli avvoltoi volteggiano su un punto preciso è probabile che la caccia di un predatore sia andata a buon fine.
Qualcuno gli chiede quanto tempo ci abbia messo a studiare ed imparare tutte le cose che sa, ma quello del bush-man non è un mestiere che si impara, anzi non è nemmeno un mestiere, è una connotazione, uno status, una conoscenza che si tramanda di padre e figlio e che si sta perdendo perché le nuove generazioni sono più attratte dal lavoro in ufficio che da una jeep in mezzo alla savana.
Quello che inizialmente mi sembra assurdo è semplicemente l’effetto dello stesso progresso che ha portato i figli dei nostri agricoltori ed artigiani a scegliere una strada diversa da quella dei padri.
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Al Simbambili la sveglia suona tutte le mattine alle 5 ma in poche altre occasioni sono andata a dormire con la voglia che quel trillo arrivasse al più presto. Un caffè veloce e di nuovo sulla jeep – sulla quale torneremo anche ogni pomeriggio – alla ricerca dell’ennesima creatura stupefacente. Tra un game drive e l’altro, si ha tutto il tempo per fare una colazione abbondante, pranzare e rilassarsi sul patio della propria camera, facendo attenzione a non lasciare le finestre aperte per non rischiare di trovarsi a condividerla con un gruppetto di scimmie che, a quando pare, hanno il vizietto dell’alcool.
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L’attesa, l’avvistamento, l’eccitazione e il silenzio mentre si ammira l’animale di turno.
Il cuore che batte a mille quando lo sguardo del leone incrocia il tuo, o almeno così ti sembra, e inevitabilmente l’attenzione scivola verso la zampa per misurarne la dimensione e trovare la conferma di ciò che sai già.
Fortunatamente nel frattempo lui è già andato avanti di qualche metro, più interessato a captare l’odore di una gazzella sottovento.
Scoppia un temporale, inatteso quanto la neve ad agosto in Italia. La jeep sfreccia nel fango mentre facciamo fatica a tenere gli occhi aperti per la pioggia e cerchiamo di infilarci le mantelline. Sono ubriaca di felicità e, mentre sobbalzo sul sedile, ho solo un pensiero nella testa: il safari è la più bella esperienza di viaggio.
Lo è anche quando ti insegna che il rinoceronte che stai guardando probabilmente è l’ultimo che vedrai nella tua vita, a meno che tu non decida di tornare in Africa entro i prossimi 3 anni.
Appena 3 anni.
Estinti.
Per sempre.
Lo è ancora di più quando ti svela che il wildlife tourism può dare un forte incentivo alla tutela degli animali rappresentando la principale risorsa di lavoro e reddito della popolazione locale. In molti paesi africani, il turismo legato ai safari è di fatto la principale ragione per cui la fauna esiste ancora: beneficiando degli effetti economici prodotti, i locali hanno acquisito maggiore consapevolezza sul fatto che il business esiste se gli animali esistono, iniziando quindi a lottare contro corruzione e bracconaggio per la protezione degli stessi.
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Ho la valigia in mano, pronta – si fa per dire – a lasciare il Simbambili.
Saluto Jared e la coppia di ranger in pensione con la quale abbiamo condiviso la jeep nelle ultime due uscite.
Hanno lavorato entrambi una vita nei parchi e nelle riserve di mezza Africa australe, è al Sabi Sand che si sono conosciuti ed innamorati e continuano a tornarci in vacanza. E’ evidente che lei abbia lasciato un pezzo grande di cuore in Kenya perché è parlando di questo paese che le brillano gli occhi; così come è evidente che certe passioni prescindono dal fatto che si siano trasformate in un lavoro col tempo e non ti abbandoneranno mai: non c’è stato un momento in cui non si siano eccitati quanto noi nel guardare un animale – che fosse un leopardo su un albero o uno scarabeo stercorario alle prese con la sua palla – o che non abbiano inforcato il binocolo per guardare un uccello da lontano.
“Ti passo chiedere un favore?” mi domanda lui mentre mi avvolge in un abbraccio. E’ alto, con la pancia rotonda e la barba morbida.
“Certamente”
“Puoi raccontare ai tuoi amici di quanto sia bello il Sudafrica?”
È un post bellissimo è davvero sentito…riconosco questo tuo sentimento, perché lo ho riscontrato anche io quando andai in Sudafrica e per giunta a Sabi Sand *.* Sogno da tempo di tornarci, se non in Sudafrica magari in qualche altro paese… Il lodge in cui hai alloggiato è strepitoso!
Penso che certe sensazioni che l’Africa regala siano uniche e possano essere comprese solo da chi ci è stato e le ha provate. Il Sudafrica mi è piaciuto tantissimo ma mi ha lasciato tantissimi interrogativi in testa, più degli altri Paesi che ho visitato. Se hai voglia di tornare – anch’io ne ho e pure tanta – hai un pensierino al Kenya, perché secondo me è il concentrato perfetto dell’Africa australe più iconica.
Mi hai ricordato una delle esperienze più emozionanti che ho fatto in viaggio. Però prima di tutto devo farti i complimenti per le foto, perché mi hanno stregato. Sono bellissime, davvero. Non riesco a smettere di guardarle. E intanto mi viene da piangere dalla voglia che avrei di fuggire lontano dalla città e dall’Italia per un po’, immergermi in altre atmosfere e nel silenzio e nei tramonti che solo i grandi spazi sanno regalare.
Grazie Ilena, veramente. Sai, nemmeno io riesco a smettere di guardarle, ma giusto perché mi fanno rivivere quei momenti così carichi di tensione – a volte – e di emozione – sempre – .
Non tutti vivono l’esperienze del safari allo stesso modo – purtroppo, aggiungerei – ma quando arriva a toccarti il cuore e non lo vive come una semplice sfilata di animali esotici diventa una delle esperienze più belle che si possano fare e il ricordo rimane vivo per sempre. Ti auguro di partire, che sia per l’Africa o un altro posto, e di trovare gli spazi immensi che cerchi 🙂
Il safari è una di quelle esperienze che sogno da quando ero bambina. E se mi fermo a immaginarlo a livello di sensazioni ed emozioni, beh, è tutto molto simile a quello che hai descritto tu: l’ansia di svegliarsi presto, l’attesa, il silenzio, quel tuffo al cuore nel trovarsi di fronte un leopardo o un rinoceronte. Anche per questo ho amato questo tuo articolo. Sai bene quanto ami il tuo modo di scrivere, così coinvolgente. E stavolta mi sono un po’ commossa anch’io♥
Grazie Ale, sei tu che adesso fai commuovere me con questo commento! Anzi, scusa se ti rispondo solo ora ma non mi stanno arrivando le notifiche dei nuovi commenti così capita spesso che me ne accorga solo per caso.
Il safari è un qualcosa che non mi stanca mai ed è anche per questo che continuo a scriverne.. sono passati appena sei mesi e la savana già mi manca da morire. Quando il tuo cucciolo sarà un po’ più grande magari farete questa esperienza insieme e sono sicura al 100% – anche se non ho ancora bambini – che sarà qualcosa di eccezionale per entrambi! Anzi, per tutti e tre 🙂