Ecco la verità, signori, sui pulcinella di mare

Questo è uno di quei post informativi che avrei dovuto scrivere subito dopo essere rientrata da un viaggio fatto quest’estate, perché durante tale esperienza, mi sono sentita scopritrice di una conoscenza che avrei dovuto condividere col mondo intero.

Per mettervi in guardia, tutti.

Poi sono tornata e, come magicamente succede nella maggior parte dei rientri, puff.. del viaggio appena concluso si parla solo delle cose fighe, si guardano le foto altrettanto fighe e ci si lascia trasportare dalla malinconia dalla quale ci si consola ripensando solo alle cose fighe.

Però, qualche giorno fa, mentre scrivevo questo post, mi è tornato in mente tutto.

In quell’istante, mi sono ricordata di tutta una serie di episodi terrificanti che hanno segnato quel viaggio e ho deciso che fosse arrivato il momento di diffondere questo messaggio di fondamentale importanza per l’incolumità dell’umanità.

Probabilmente adesso ti starai chiedendo che cosa c’entrano le graziose casettine colorate sparse in mezza Europa con questo grido di allerta che devo lanciare.

Ora te lo spiego, ma andiamo per gradi.

Partiamo dall’inizio.

Mettiamo una cosa in chiaro: io ho sempre avuto una passione particolare – e sì, lo so che devo stare attenta a scegliere bene le parole per evitare risatine maliziose – . Ho sempre avuto una passione particolare per quella classe di vertebrati endotermi cladisticamente riconducibile a un ramo dei dinosauri teropodi, più comunemente nota con l’appellativo di uccelli.

Quando ero bambina, per esempio, obbligai mio padre a costruire una voliera di 30 metri cubi da posizionare sotto il salice piangente in giardino, in modo da poter trascorrere intere giornate all’interno, in compagnia dei miei 18 simpaticissimi parrocchetti.

Nulla di strano per una che aveva provato ad allevare pure ramarri.

Eh sì, mia madre fu molto felice di questa cosa.

Great Ocean Road

Trascorsero degli anni, i parrocchetti erano passati ormai tutti  a miglior vita ed io ero cresciuta abbastanza per andare a vivere da sola. Un giorno all’improvviso, probabilmente in preda ad un attacco di nostalgia per gli anni dell’innocenza, decisi di comprare una coppia di calopsitte.

Hai presente quei pappagalli non molto grandi con la cresta gialla e le guancette rosse che sembrano disegnate?

Ecco loro, in tutta la loro bellezza piumosa trovarono posto sul mio terrazzo, in un gabbia che ogni due mesi aumentava di dimensioni, fino ad arrivare ad occupare metà dello spazio disponibile. Un comodissimo nido d’amore in cui magicamente hanno iniziato a figliare ad intervalli piuttosto regolari.

Ma fin qui nessun problema, c’era spazio per tutti visto che l’ultima sistemazione era praticamente più grande del mio appartamento. Ma poi arrivò l’estate e, dormendo con le finestre aperte, mi resi conto che il caro pappagalletto dalle guance tonde, capo ormai di un’intera tribù di graziosi calopsitte multicolore, tutte le mattine, ancora prima dell’alba, senza distinzione di festivi e feriali, iniziava ad intonare un motivetto degno della sveglia della miglior caserma di bersaglieri.

Eh sì, i miei vicini furano molto felici di questa cosa.

Prima del mio trasferimento a Ginevra i graziosi pennuti hanno trovato ospitalità presso un’anima pia che continua a prendersene cura una passione commovente, mentre io ho deciso di limitarmi a guardare con gli occhi a cuore pappagalli & co. librarsi liberamente nel cielo, che è molto, molto più bello.

Tempo fa, però, reduce da alcuni incontri ravvicinati poco felici, scrissi questo post sui gabbiani, la creatura che ho sempre considerato come il vertebrato endotermo cladisticamente riconducibile a un ramo dei dinosauri teropodi più pericoloso in assoluto.

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Fin quando non mi sono seduta fuori da Starbucks qui a Ginevra e sono stata attaccata da un gruppo di passerotti famelici che hanno trasformato quella che doveva essere una serena colazione baciata dal sole in un incubo ad occhi aperti.

Perché devi sapere che i passerotti qui a Ginevra non c’entrano nulla con i passerotti a cui siamo abituati nel resto del globo.

Qui nascono con una cattiveria dentro che nemmeno un coccodrillo d’acqua salata a digiuno da 2 mesi. Dopo due settimane di vita sono praticamente obesi e hanno già sviluppato una tecnica speciale per strappare via dalle mani croissant al burro, sfilare da sotto le ascelle intere baguette e fiondarsi in un caquelon di fondue au fromage e uscirne indenni.

Ovviamente, a Ginevra ho smesso di mangiare all’aperto.

Ma quest’estate abbiamo raggiunto un livello superiore, quando sono andata in Islanda, durante il periodo in cui i pulcinella di mare tornano sulla terraferma per godersi l’estate. Lo scopo del viaggio, infatti, era proprio questo: riuscire finalmente ad osservare questi uccelli dal piumaggio bizzarro che a mala pena eravamo riusciti a scorgere ad agosto di due anni fa.

Oltre ai pulcinella di mare, d’estate in Islanda approdano centinaia di altri uccelli per nidificare, tra cui le sterne artiche.

Immaginavo, quindi, ci sarebbe stato il pienone anche di sterne artiche – pure se non avevo ben presente come fossero fatte  – ma non mi aspettavo che avrei avuto il piacere di approfondire così tanto tale conoscenza.

Io sono una persona molto rispettosa della natura in generale e sono consapevole di quanto possano essere aggressivi gli uccelli in periodo di nidificazione, quindi figuriamoci se poteva mai venirmi in mente di andare a rompere le palle ad un pennuto impegnato a trasmettere tutto il suo amore ad un ovetto appena sfornato.

E capisco l’esigenza di essere particolarmente attenti e protettivi, perché l’uovo in questione è grigio e piccolo e sembra un sasso.

Però, anche se tu non sogni altro che stargli lontano e il tuo unico scopo è quello di vedere un innocuo e timidissimo pulcinella di mare, ti ritroverai sempre tra i piedi il preziosissimo uovo di una sterna artica.

Quel grazioso uccellino nero e bianco, che quando vola sembra leggerissimo e delicato, ha il brutto vizio di fare il nido ovunque e per ovunque intendo per terra, tra la breccia, sul ciglio della strada, sotto uno stop, davanti al cancello di un’abitazione.

Ogni volta che passa un’auto, quindi, cacciano un paio di urla minatorie, si trasformano in draghi e si alzano in volo prontissime alla battaglia.

Quindi, se stai pensando ad un viaggio in Islanda a giugno col desidero di scattare un paio di foto ad un pulcinella di mare, che non ti venga mai in mente di andare a cercalo a Flatey al di la di un campo scelto dalle sterne artiche per nidificare: non avrei nemmeno il tempo di pensarlo che queste si saranno già unite in sciami, pronte a farti un buco in testa. Rinuncia alla foto, credimi.

Non solo: se vuoi toglierti lo sfizio di avvicinarti al Hvitserkur con la speranza di scorgere nelle vicinanze uno sfuggente pulcinella di mare, ma in corsa non riesci ad raggiungere i 50 km/h, meglio buttarsi giù dal dirupo e non passare per il sentiero che costeggia la spiaggia: troveresti anche lì milioni di sterne artiche a minacciarti di morte.

Inoltre, se decidi di prenotare una stanza in una determinata zona particolarmente frequentata dall’avifauna islandese con la speranza di trovare almeno un leggendario pulcinella di mare, accertati prima che lungo il vialetto della guest-house una sterna artica non abbia deciso di deporre un uovo: ho saputo di gente che non è più riuscita ad uscire di casa.

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Per ultimo, nel tuo vagabondare in lungo e il largo alla ricerca del mitologico pulcinella di mare, non ti fermare agli stop e, se proprio devi farlo, tieni il finestrino chiuso: in pochissimi secondi le sterne artiche sono capaci di sganciare una quantità di bombe chimiche da riprodurre l’eruzione dell’Eyjafjallajökull del 2010.

E quando tornerai a casa, riguardando l’unica foto che sei riuscita a scattare ad un pulcinella di mare, sarai consapevole che tra te e quest’ultimo ci sarà sempre una sterna artica di mezzo, e, oltre a domandarti dove siano finiti gli altri milioni di esemplari che avresti dovuto incontrare, ti chiederai perché mai qualcuno abbia deciso di associare il nome “sterna” all’aggettivo “paradisaea” quando di angelico quest’uccello non ha assolutamente nulla.

Ma, al tempo stesso, deciderai di rispettarla e temerla per il resto della tua vita.

pulcinella di mare Islanda

Francesca

Francesca

Amante del caffè in tutte le sue forme, l'importante è che sia rigorosamente senza zucchero. Expat seriale. Innamorata del mondo in ogni sua sfumatura e latitudine, ha perso il cuore in Africa, ma finisce col cercarlo sempre in altri posti. Ne parla poco, ma ha un debole per Londra e il Medioriente.

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6 thoughts on “Ecco la verità, signori, sui pulcinella di mare

  1. Già mi ha spaventato lo sguardo satanico del passerotto di Ginevra (si vede proprio che è cattivo), ma mai e poi mai mi sarei aspettata dei pennuti feroci come le sterne artiche! La pulcinella di mare secondo me si sta guardando le spalle perché teme di venire attaccata dalla bestiaccia infernale!

    1. Quando ho incontrato il passerotto di Ginevra ho rivalutato la mia scala dei pennuti più temibili e lui se la batta tranquillamente con la sterna artica! In Islanda a volte ho dubitato dell’esistenza dei pulcinella di mare: alla fine mi sono convinta che sono reali ma, probabilmente ha ragione tu: si nascondono anche loro per paura di essere attaccati!

  2. L’unica foto del pulcinella di mare alla fine del post mi ha fatto ribaltare dalle risate! Sembra che dica “beh? Io innocente fui” XD

    Comunque hai fatto bene a dire questa cosa, io non essendo mai stata in Islanda non l’avrei mai immaginato, eviterò di andarci in quel periodo e farò attenzione agli stop!

    1. Quel disgraziato! Se fosse un po’ meno timido di certo non si rischierebbe la vita per andare a cercarlo!
      Nemmeno io mi aspettavo tanta aggressività: ci si può andare in Islanda a giugno, ma non sottovalutare mai le sterne perché non hanno davvero paura di niente.


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