I fari del Victoria: storie di speranze, naufragi e fantasmi

Durante il mio viaggio in Australia, mi è capito spesso di soffermarmi a pensare ai primi abitanti di quest’immensa isola.

Non mi riferisco però agli Aborigeni, che vi arrivarono nella notte dei tempi, ma a chi, in un passato relativamente recente, decise o fu costretto a farsi 3/4 mesi di nave per raggiungere un territorio quasi del tutto inesplorato e disabitato, di cui all’epoca si sapeva poco o niente.

Probabilmente il richiamo dell’oro fu una delle forze motrici di questo flusso migratorio, ma già nei primi anni dell’Ottocento centinaia di donne e uomini coraggiosi decisero liberamente di raggiungere la Terra Australis, inseguendo il sogno di poter comprare un appezzamento di terra a poco o trovare un lavoro con facilità.

Per molti di loro tutto questo rimase però solo il miraggio di una vita migliore, una speranza che naufragò insieme alla nave su cui viaggiavano, a largo delle coste australiane.

Si stima, infatti, che siano più di 80 i relitti che giacciono sui fondali tra il Victoria e il South Australia, lungo quel tratto di costa noto già due secoli fa come “la Costa dei Naufragi”, la cui pericolosità spinse alla costruzione di decine di fari che agevolassero la navigazione. Solo nello stato del Victoria se ne contano ben 23 in 2.000 chilometri di litorale.

In questo post vi racconto dei tre che ho incontrato lungo il mio on the road e presso i quali ho voluto fermarmi.

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Split Point

Split Point Lighthouse, la Regina Bianca, accoglie le navi che hanno superato Cape Otway dall’alto dei suoi 34 metri dal 1891. Il faro è davvero imponente, brilla di luce propria: nonostante il grigiore della giornata e la pioggerellina incessante di quel giorno, il bianco della sua malta era quasi accecante e si faceva fatica a guardare fino alla fine della torretta.

Ma la bellezza di questo angolo di costa non finisce con la vista del faro: se si prosegue lungo la passerella di legno, si giunge ad un lookout a strapiombo sul mare, dove l’occhio indugia prima sull’Eagle Point, l’unico faraglione che svetta tra le acque turbolenti, per poi perdersi nell’infinità dell’oceano. Eagle Point da il nome al parco marino circostante, che si estende per 300 metri dalla costa coprendo un’area di 17 ettari, da Painkalac Creek a Castle Rock.

split point

 

La zona del faro è accessibile liberamente, ma la visita all’interno del faro stesso è possibile solo nei week end prendendo parte ad un tour guidato al costo di 14 AU$.

Cape Otway

Quello di Cape Otway è il terzo faro più antico di tutta l’Australia. La sua luce, che dal 1848 guida senza interruzione le imbarcazioni lungo la costa, svetta dall’alto della scogliera dinanzi al punto in cui lo Stretto di Bass e l’Oceano del Sud si uniscono. Nel passato, per centinaia di migranti, dopo 4 mesi di mare, Cape Otway segnava la fine di un lungo viaggio: esso attirava l’attenzione sul primo lembo di terra che si palesava davanti agli occhi dei viaggiatori dal lontano Capo di Buona Speranza.

Essere il custode del faro nell’Ottocento non era un compito facile: si doveva avere una forza d’animo non indifferente per riuscire a superare lo stato di completo isolamento del luogo e gestire al meglio le scorte di viveri, che venivano consegnate solo una o due volte l’anno via mare. Il custode, oltre ad assicurarsi del buon funzionamento del faro, aveva il compito di salvare e prendersi cura dei sopravvissuti dei naufragi, che in quel tratto di costa erano molto frequenti: la nuova rotta adottata dalle navi dirette a Sydney già da qualche anno prima della costruzione del faro, evitava loro la circumnavigazione della Tasmania, ma costringeva il passaggio lungo lo Stretto di Bass, le cui acque sono particolarmente perigliose.

Prima della costruzione del faro, nel giro di pochi anni, infatti, questo tratto di mare rappresentò la fine del viaggio per tre vascelli: nel 1835 si persero le tracce del Neva, con a bordo 135 detenute e 55 bambini; stesso destino toccò al Rebecca nel 1843 e nel 1845 il Cataraqui si arenò sulla barriera corallina: 36 ore dopo, solo 9 dei 408 passeggeri riuscirono a raggiungere la costa.  Fu proprio dopo quest’ultimo incidente, ricordato dalla  storia come il peggiore d’Australia in tempo di pace, che fu ribattezzata come la “Costa del Naufragio”.

Attorno al faro di Cape Otway sono nate diverse leggende di fantasmi. Si racconta, infatti, che siano almeno 4 gli spiriti che vivono nella zona: uno è stato avvistato all’interno del faro; un altro frequenta regolarmente il Lightkeeper’s Café; mentre un altro, vestito con gli abiti della tradizione aborigena, è stato visto più volte vicino alla Stazione del Telegrafo. L’ultimo sarebbe il fantasma di una bambina vissuta alla fine dell’Ottocento, che morì all’età di 4 anni: il corpo fu tenuto a lungo in un cassetto della stanza più fresca della Stazione del Telegrafo in attesa che un prete arrivasse a dorso di cavallo per darle l’estremo saluto.

Vi state chiedendo se ho avuto il piacere di incontrane qualcuno? Ero troppo concentrata a lottare contro le vertigini nel salire sulla ripida scaletta di legno attraverso la quale si accede alla stanza della lampada, in cima al faro, per notare qualcosa di strano. Ma se pure l’avessi notato, avrei pensato probabilmente fossero allucinazioni date dalla mia paura del vuoto.

cape otway

Tip #1: prima di arrivare al faro, si percorre la Lighthouse Road, un’arteria della Great Ocean Road, che si snoda tortuosa attraverso un bosco di eucalipti. Mentre la percorrete, guidate piano e col naso all’insù: non ho visto cosi tanti koala concentrati in pochi metri da nessun’altra parte. Qui alcune loro foto.

Tip #2: il biglietto per accedere al faro ammonta a ben 19.50 AU$ pax, ma non ci sono alternative se si vuole vederlo, in quanto è visibile solo dal mare, essendo circondato, verso l’entroterra, da una fitta boscaglia. Accedendo al parco, si può salire sul faro, visitare la Stazione del Telegrafo, prendere parte ad un tour gratuito, accedere ad un bunker militare e ad un centro di cultura aborigena, e fare un pic-nic sul prato.

Tip #3: mentre l’accesso al faro e il relativo tour sono possibili tutti i giorni dell’anno, escluso Natale, il ghost tour ha luogo solo una volta l’anno.

Cape Nelson

Cape Nelson Lighthouse si trova sul confine tra il Victoria e il South Australia, ormai lontano dalla Great Ocean Road. Svetta dal 1884 su uno sperone che si innalza ripido dal mare per 50 metri, battuto costantemente da un fortissimo vento. Proprio per questo motivo, fu costruito un muro alto 175 centimetri che corre per 435 metri, dal faro fino alla casa del custode, allo scopo di proteggere ed agevolare il lavoro di quest’ultimo.

L’ultimazione del faro corrisponde al periodo in cui sull’Australia incombeva la minaccia di un attacco russo per le ostilità insorte tra la Gran Bretagna e il Governo Sovietico per il controllo dell’Afghanistan: un enorme telescopio fu installato nel 1885 al fine di intercettare navi ostili fino a 30 miglia di distanza.

nelson

La zona attorno al faro è accessibile liberamente, mentre la visita all’interno del faro è possibile solo prendendo parte ad un tour guidato al costo di 15 AU$, che si tiene tutti i giorni alle 11 e alle 14.

Francesca

Francesca

Amante del caffè in tutte le sue forme, l'importante è che sia rigorosamente senza zucchero. Expat seriale. Innamorata del mondo in ogni sua sfumatura e latitudine, ha perso il cuore in Africa, ma finisce col cercarlo sempre in altri posti. Ne parla poco, ma ha un debole per Londra e il Medioriente.

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13 thoughts on “I fari del Victoria: storie di speranze, naufragi e fantasmi

    1. Grazie Lucia!
      Verissimo, la magia dei fari non è solo nella bellezza architettonica e del paesaggio attorno, ma sta anche nel fascino delle storie che raccontano.. e in Australia questo fascino é prepotente, quantomeno per me.


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